SINDACATI MILITARI – UNA DIVERSA CHIAVE DI LETTURA, il titolo dell’evento organizzato dalla Senatrice Bruna Angela Piarulli. – Di seguito il testo dell’intervento dell’amico Cleto Iafrate del SIBAS Finanzieri

Roma, 21 nov 2020 – Nel corso delle audizioni prima alla Camera e poi al Senato sono emersi due fronti contrapposti, separati da una linea di confine che si chiama specificità dell’ordinamento militare. Da una parte ci sono i sindacali militare che chiedono con forza i diritti sindacali. Sul fronte opposto sono schierati gli Stati maggiori che insistono nel ritenere che la specificità militare impedisca ai militari l’esercizio dei diritti sindacali.

Pertanto, vale la pena tentare di fare chiarezza sul concetto nodale di specificità militare.

Per capire cosa sia effettivamente la specificità dell’ordinamento militare, ritengo si debba partire dal pensiero del prof. Giuseppe Maggiore, un illustre esponente della letteratura giuridica vissuto agli inizi del secolo scorso. 

Il prof. Maggiore propose di introdurre anche la volontà del duce nel nostro principio di legalità, ad imitazione di quello hitleriano[1].

Ebbene, cari amici, questa tesi esprime il cuore della specificità dell’ordinamento militare.

La specificità altro non è che negazione del principio di legalità.

Infatti, possiamo prendere i quattro momenti fondamentali della vita del militare: il trasferimento d’autorità, (anche presso una sede non gradita), le sanzioni disciplinari, le benemerenze di servizio (encomi, elogi) e i giudizi annuali caratteristici, in tutti questi momenti la volontà del Capo costituisce principio di legalità.

1) Per esempio, il trasferimento d’autorità è qualificato come “un ordine militare” –è una modalità di esecuzione del servizio- e pertanto non deve essere motivato; o comunque deve avere una motivazione assai sfumata. Insomma è caratterizzato dalla più ampia discrezionalità[2].

2) Secondo esempio, le sanzioni disciplinari. Nell’ordinamento militare le infrazioni che danno luogo alla sanzione della consegna non sono affatto tipizzate. La norma, infatti, si limita a stabilire che la consegna punisce le violazioni dei doveri militari e le più gravi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio[3]. Una tale locuzione, a causa della sua indeterminatezza, conferisce al Capo il potere di decidere quali infrazioni danno luogo ai rilievi[4].

È in commercio un libro il cui titolo è stato ripreso proprio dalla motivazione che ha dato luogo, tanti anni fa, ad una sanzione disciplinare. Il libro si intitola “Procreava senza l’autorizzazione dei superiori”. Cioè, questo militare aveva concepito un figlio prima dell’età stabilita (dai regolamenti) per essere autorizzato a contrarre matrimonio; e perciò era stato punito. Ovviamente, questo è un caso limite, ma rende bene l’idea di quanto sconfinato sia l’esercizio del potere disciplinare.

3) Le benemerenze militari. Un encomio può essere, legittimamente, concesso ad un militari per il sol fatto di aver partecipato ad una cerimonia (famoso quello concesso per la svelatura del cippo) e, a buon diritto, negato ad altro militare che magari ha recuperato migliaia di euro di evasione perché non ha fatto altro che il suo dovere.

Anche in questo caso la volontà del Capo costituisce principio di legalità nella concessione degli encomi che per la carriera hanno l’effetto di vere e proprie sostanze dopanti.

4) Infine, i giudizi annuali caratteristici da cui dipende strettamente la carriera. Anche qui la specificità militare conferisce al Capo una tale discrezionalità che, in astratto, potrebbe legittimamente condurlo a valutare la cultura di un militare laureato con minor pregio di quella di altro militare con la terza media.

Questa è la tanto decantata specificità che impedirebbe la sindacalizzazione dei militari.

Gli Stati maggiori sostengono che essa sia funzionale ad una maggiore efficienza e alla massima operatività delle forze armate e di polizia.

Evidentemente non è così.

Non mi pare che la sindacalizzata Polizia di Stato sia scarsamente operativa, scompaginata e poco efficiente. Anzi tutt’altro.

La verità è un’altra. La combinazione sinergica dei vari istituti, appena visti, che condizionano la vita del Militare (sanzioni, trasferimenti, avanzamenti, ecc..), provocano una grave modificazione genetica dell’obbedienza del militare, riducendolo “in docile esecutore di un’altrui volontà alla quale egli è costretto a piegarsi, anche quando non dovrebbe[5].

Una siffatta obbedienza, in astratto, garantisce più omertà e impunità che efficienza e massima operatività.

Attenzione, quando si parla di obbedienza “militare” non ci si riferisce solo a quella del fante o dell’alpino di montagna, ma anche e soprattutto all’obbedienza della polizia giudiziaria e tributaria ad ordinamento militare. Ci si riferisce, cioè, ad organizzazioni che hanno la possibilità di accedere a dati sensibili e detengono enormi poteri investigativi, in forza dei quali possono imprimere direzione e verso alle indagini di polizia giudiziaria e tributaria.

Dunque, cari amici, difendere la specificità militare equivale a difendere un microstato annidato in seno allo Stato democratico –però, posto al di fuori della sua logica- che, in astratto, potrebbe essere in grado di influenzare il libero articolarsi della dialettica democratica nel Paese.

Premesso quanto fin qui esposto, ritengo che molti dei tentativi di limitare i diritti costituzionali dei militari -già in tempo di pace- in nome della tutela della compagine interna, dell’efficienza, dell’apoliticità, dell’unicità di comando delle Forze armate e di polizia, siano poco sinceri e, a volte, ispirati a secondi fini.

La presenza di associazioni sindacali può servire da deterrente per contrastare certe derive.

Qui in gioco non ci sono solo i diritti dei militari. Quelli, eventualmente, vengono dopo.

Ma in gioco c’è il diritto dei cittadini a vivere in uno stato di diritto.

In conclusione, ritengo che la proposta della senatrice Piarulli, che ringrazio per avermi invitato, sia sulla buona strada; sia, cioè, una proposta a cinque stelle. Una proposta di cambiamento. Al contrario di altre proposte che di stelle ne hanno solo quattro, quelle che indossano in Comandanti generali sulle spalline.

(FONTE: https://fb.watch/1TMRclJ7_A/ – dal minuto 42:20).

Note:

[1] InDiritto penale totalitario nello Stato totalitario”; in Rivista italiana di diritto penale, IX [1939], pag. 160. Vedi anche nota nr. 4.

[2] Rispettivamente artt. 4 e 5 della L. 241/1990). L’art. 1349, terzo comma, del COM, prevede che agli ordini militari non si applichino, tra l’altro, i capi I e III della legge 7 agosto 1990 n. 241, ove sono collocati, rispettivamente, l’art. 3 in materia di “motivazione del provvedimento” e l’art. 7 in materia di “comunicazione di avvio del procedimento”. Il consolidato orientamento della giurisprudenza ha stabilito che i trasferimenti d’autorità rientrino «nella categoria dell’ordine del superiore gerarchico e attengono, in buona sostanza, ad una semplice modalità di svolgimento del servizio sul territorio» (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n. 1677/2001); di conseguenza «i provvedimenti di trasferimento dei militari, rientrando nel genus degli ordini, sono sottratti alla disciplina generale sul procedimento amministrativo dettata dalla legge 241 e, pertanto, non necessitano di particolare motivazione, in quanto l’interesse pubblico al rispetto della disciplina ed allo svolgimento del servizio è prevalente su altri eventuali interessi del subordinato» (Cons. di Stato, sez. IV, n. 2929/2010).

[3] Art. 1352, co. 1, D. Lgs 66/2010.

[4] La sanzione della consegna consiste nel privare il militare della libera uscita fino a un periodo massimo di sette giorni consecutivi (art. 1358, co. 4, del D. Lgs 66/2010). Per i militari che fruiscono di libera uscita, la consegna ha la stessa afflittività degli arresti domiciliari.

Si consideri, a tal proposito, che nel 1939 il prof. Giuseppe Maggiore propose quanto segue: “E’ reato ogni fatto espressamente previsto come reato dalla legge penale e represso con una pena da essa stabilita. E’ altresì reato ogni fatto che offende l’autorità dello Stato ed è meritevole di pena secondo la volontà del Duce unico interprete della volontà del popolo italiano”,  in Rivista italiana di diritto penale, IX [1939], pag. 160.

[5] Iafrate C., Obbedienza, ordine illegittimo e ordinamento militare, in Diritto & Questioni pubbliche, vol. 16/2016-2.

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