Alessitimia. Il male dell’anima che troppo spesso conduce nell’oblio chi indossa un’uniforme. Di Eliseo Taverna*

Roma, 25 apr 2024 – E’ accaduto ancora e, purtroppo, nelle settimane scorse la morte assassina si é portata con sé una giovane anima innocente che era nel pieno della vita, gettando nella disperazione totale tutti coloro che lo amavano profondamente o che “semplicemente” gli volevano bene.

Si chiamava Luca e, come tanti, era un giovane ragazzo innamorato della vita che aveva scelto di servire il Paese, d’indossare l’uniforme della Guardia di Finanza. Un ragazzo coraggioso perché non si era limitato ad arruolarsi (una decisione già di per sé non comune, soprattutto per i giovani d’oggi) ma aveva scelto di far parte dei Baschi verdi, il comparto Antiterrorismo e Pronto Impiego del Corpo.

Come sempre accade nessuno può sapere le cause che hanno indotto questo ragazzo a compiere questo atto estremo, senza ritorno, ma quel che é certo che il “mal di vivere” ha colpito ancora una volta, senza che nessuno potesse accorgersi del malessere profondo che aveva dentro di sé e che all’improvviso é esploso irrimediabilmente.

Sono anni che si cerca di capire le cause che affliggono gli appartenenti alle Forze di Polizia e che troppo spesso, nonostante una certa resilienza alle avversità della vita, sviluppata anche grazie ad un duro addestramento ed alle tante vicissitudini che si ci trova ad affrontare ogni giorno, può portare l’operatore di polizia a compiere atti autolesionistici nel momento in cui non intravede più una via d’uscita verso quei problemi che percepisce o ritiene realmente insuperabili.

Gli esperti sostengono che spesso il male che attanaglia le persone che ricorrono al gesto estremo si chiami Alessitimia in forma grave, ovvero difficoltà o incapacità dell’individuo a riconoscere e gestire le proprie emozioni e sentimenti, fino al punto di trovarsi a vivere in una condizione di non riuscire più ad intravedere una via d’uscita dai problemi che lo circondano e che frequentemente appaiono insormontabili con il rischio di condurre nell’oblio.

Luca é volato in cielo prematuramente così come é accaduto a Beatrice nei giorni scorsi, una giovanissima allieva maresciallo dei carabinieri che si é esplosa un colpo di pistola con l’arma d’ordinanza all’interno della scuola di formazione.

Entrambi figli di appartenenti all’Arma dei Carabinieri, almeno così si apprende dagli organi d’informazione, quindi ragazzi cresciuti e abituati in contesti familiari con una certa rettitudine e con un’impostazione nell’agire quotidiano orientata verso il rispetto dell’altro e delle regole.

Dietro una giovane e preziosa vita che si spegne, peraltro per mezzo di azioni cosi impattanti, ce ne sono tante altre che si spezzano irrimediabilmente, si distruggono e si annientano.

Perdere un figlio, un fratello, una sorella, significa perdere la propria ragione di vita e smettere di esistere.

Giovani colleghi dal viso da bambini e dall’anima innocente che, come troppo spesso accade, se ne vanno via per sempre con la stessa semplicità e ordinarietà con la quale si esce di casa la mattina, lasciando nella disperazione più assoluta i propri cari.

Il mese scorso la stessa drammatica sorte é toccata ad Enzo, un luogotenente del Corpo, un caro amico in servizio in Abruzzo. Questo gesto estremo messo in correlazione con la sua personalità, connotata da profonda umanità che si mescolava alla sua bontà d’animo, ha fatto piombare tutti nello sconforto più totale.

Ognuno nelle Amministrazioni ha un obbligo giuridico e morale di fare tutto il possibile per cercare di evitare che tragedie come queste non si verifichino più e che nessuna famiglia debba più piangere la perdita di una giovane vita a causa di questo “male incurabile” che si chiama “mal di vivere”, i cui sintomi sono troppo spesso latenti ed i segnali di allarme, a causa di contesti lavorativi peculiari e ritmi frenetici, purtroppo non colti da nessuno.

Enrico Morselli Neuropsichiatra del novecento sosteneva che le caserme non fossero luoghi dove aprirsi agli altri e raccontare i propri problemi, i disagi, le incomprensioni che la vita riserva.

Non siamo più nel novecento ma nel terzo millennio eppure tali teorie, seppur contestualizzate all’evoluzione che la società ha avuto e con essa anche gli ambienti lavorativi delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, rimangono immutate e per alcuni versi maggiormente pregnanti se le mettiamo in correlazione con la frenesia, l’indifferenza e le “patologie comportamentali” che la società consumistica ha portato con sé negli esseri umani.

La soluzione per cercare di intercettare disagi e malessere, nonché prevenire e contenere certi drammi infiniti, risiede inevitabilmente in un cambio di impostazione culturale che permetta di migliorare il clima organizzativo degli ambienti di lavoro, implementare l’empatia e la solidarietà tra colleghi che vestono la stessa giubba e tra personale esecutivo e dirigenti, colmandone le distanze troppo spesso esistenti, nonché superando quel clima d’indifferenza verso i problemi dell’altro

*Segretario Generale SIAF

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