Roma, 31 ago 2021 – La pratica scorretta di prestare il green pass ad un parente o amico senza vaccino comporta gravi conseguenze legali. Si tratta, come vedremo, di un reato vero e proprio, con ripercussioni per colui che presta la certificazione e per chi la utilizza.
Ciò è possibile perché i ristoratori, su cui grava il compito di controllare il green pass all’ingresso, non possono chiedere il documento d’identità per verificare la paternità del certificato verde. Un vuoto normativo che può compromettere la salute collettiva. E allora come avvengono i controlli sui green pass e come si viene scoperti?
Posto che soltanto i pubblici ufficiali possono chiedere ad una persona di identificarsi con la carta d’identità, i ristoratori non hanno i mezzi per frenare quelli che – senza vaccino o tampone – vogliono consumare facendosi prestare il green pass di un amico/parente.
Sul certificato verde, infatti, è visibile soltanto il QR code senza i nominativi del proprietario.
Questa pratica, oltre ad essere eticamente scorretta, lo è anche sul piano legale. Possono scattare vari reati come la Sostituzione di persona (articolo 494, Codice penale) e l’Esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artico 329, Codice penale), con sanzioni che vanno dalla multa dell’importo di 516 euro fino ad un anno di carcere.
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